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Ma è la stessa Vita che è morta a Inverary perché colà si è estinto il senso stesso della possibilità: le persone vivono e rivivono sempre le stesse cose come in un loop da cui non possono uscire, interiormente sono dei cadaveri. La ripetizione distrugge ogni entusiasmo: l'esperienza viene destrutturata dall'attenzione che le si posa ogni volta, sempre più intensa per forza di cose, finché dopo averla svuotata rimane morta come un guscio estraneo, cresce la rabbia e poi la disperazione. Quindi magari la rassegnazione e ci si abbandona.
Si comincia con un buon numero 7 - Sclavi e Montanari&Grassani - dove Dylan vede cosa è Inverary ed è costretto ad accettare quell'orrore che gli si para davanti, la scelta autoriale è quella di conservare quel luogo che infatti dopo tornerà buono.
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Nel "Ritorno al Crepuscolo" - n.57 e stessi autori - anche Dylan Dog viene mesmerizzato e di fatto viene avvinto dal sottile fascino di Inverary, nelle spire di un nichilismo deprimente tra metafisica (le azioni sono prive di significato), metafumetto (la nostra personalità qui è pretestuosa) e sentimentalismo perdente (perché Opal è il punto di contatto tra realtà e metafora, la disgraziata viene abbandonata nel mondo spazzatura del Crepuscolo).
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E a questo punto che si innesta Masiero. Prende la discutibile decisione di distruggere Inverary facendo decidere la sua coscienza critica (il dottore) per un suicidio collettivo, che si convince che la morte è comunque preferibile a un'esistenza tanto triste. E come viene presentata la conclusione? Come un superamento diciamo "hegeliano" che Dylan compie nei confronti della Zona. Cioè parte da Londra con l'intento di scoprire "cosa lo lega a quel luogo" (sic) per poi tornare a casa alla fine quando è arrivato alla conclusione che la "zona del crepuscolo esiste ed è dentro di lui".
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